Anche
Mons. Bacciu venne percorso da acerbi colpi vibrati dalla gelosia e
suscitati dall’egoismo di pochi che ben presto si erano dimenticati dei
benefici ricevuti. «Essere geloso, dice lo scrittore francese Balzac, è il
colmo dell’egoismo, è l’amor proprio in difetto, è l’irritazione
di una falsa vanità »[1],
e Bufke, uomo politico e scrittore inglese, scrive: La gelosia accende la
sua torcia al fuoco delle furie».[2] Il numero 80 del «Corriere d’Italia» del 22 marzo
1914, fra l’altro scrive: «Gli ultimi tempi della vita non furono per
Mons. Bacciu esenti da dispiaceri. Malintesi e difficoltà creategli da
alcuno che avrebbe dovuto sentire verso di lui il dovere della gratitudine
avevano stancato la sua robusta fibra». Nel discorso funebre, tenuto dal Vescovo di Caltelli -
Nuoro, Mons. Luca Canepa, nel solenne funerale celebrato nella chiesa
cattedrale di Ozieri, in onore di Mons. Bacciu, si fa cenno ai nemici
domestici: «Ci si impone di stare in guardia, coll’arme al braccio,
contro i nemici di fuori, e più ancora contro i nemici di casa che sono
immensamente peggiori: «inimici hominis doitiestici ejuss».[3] Il
numero V del settimanale Libertà », del 22 marzo 1914, riporta
l’elogio funebre fatto, dal Commendatore Antonio Fumu Mossa, nel
cimitero di Buddusò, prima che la salma di Mons. Bacciu venisse tumulata.
Vi si legge: «Forse
qualche nube, qualche aura infesta avrà alcuna volta voluto insinuarsi a
spezzar L’azzurro del suo limpidissimo orizzonte e dargli cruccio: ma su
ciò qui è un dovere sorvolare: è privilegio anche quello che tocca ai
giusti, e se pei dolori inconsciamente inferti la dolcezza dell’oblio
l’anima sublima,. per i pensati riprovevoli intenti ricordate che ogni
sasso vibrato contro il primo dei primi sette diaconi fu da Dio convertito
nella gemma d’una grazia splendente. Sorvoliamo
sulle miserevoli mende umane, perché questa è ora di mistiche ascensioni
nelle regioni luminose della purezza e del perdono, di parole commosse e
sentite come preghiere :ora è questa che c’invita a spargere su questa
bara fiori di pace e di sentimento». E’ un fatto che dovunque un’anima grande agisce per
amore di Dio e per il bene del prossimo, c’è sempre un Golgota. Sorsero difficoltà non lievi ed ostacoli che sembravano
insuperabili a prima vista. S’accentrarono persecuzioni inattese e
dolorose, sofferenze tanto più crudeli, perché imposte da mano amica,
però egli benché adorno di maschie virtù, non poté non sentire. Ma che importa? L’avidità del patire si spiega soltanto
nella scuola di Gesù. Il Vescovo seguiva la sua strada, sfidava come una quercia
vigorosa i venti ed affrontava ogni bufera con l’animo di chi combatte
sapendo di vincere. Non si perdeva di coraggio, aspettava con l’intrepido
coraggio di un prode soldato che attende il nemico, e da quella difficoltà,
da quelle persecuzioni, da quelle sofferenze sperava uscire, come l’oro
dal crogiuolo, più duro e brillante. Conscio della sua vita, delle sue amarezze, delle sue
pene, accadeva mille volte di sentirci eccitati e gridargli; sorgi e
difenditi. Potea, non volle. La vendetta, dice il celebre poeta lirico tedesco Ruekert,
è una gioia che dura solo un giorno: la generosità è un sentimento che
può allietare in perpetuo.[4]
Egli non seppe opporre altra difesa, fuori del silenzio. Tacque perché il silenzio è gran lode a Dio. Però agli umili di cuore Dio non resiste ed il buon
pastore ottenne quei trionfi che sono vietati all’orgoglio. E
quanto più amaro assaporava, come Cristo sulla croce, il calice delle
umiliazioni, fu ricolmo dei più dolci conforti. Assaporò la gioia del
perdono. «Chi semina tra le lagrime, miete nell’esultanza ».[5] Lo
scrittore inglese Pomfret, scrive: «Chi con suo danno, farà una nobile e
generosa azione, merita di portare una corona più splendida di chi ha
vinto mille battaglie».[6]
Solo la croce di Gesù può portare le foglie, i fiori e i frutti
dell’eterno raccolto. Mons. Canepa, nel citato discorso funebre, dice: «Il
vostro lacrimato pastore ha lavorato e ha combattuto nel buon arringo:
quindi è giusto che a lui spetti il meritato riposo: ne già solo il
riposo della tomba, che è ben poca cosa in confronto della fatica, e
della lotta aspramente combattuta: ma il riposo eterno nella gloria dei
Santi: quel riposo vero e duraturo, che la chiesa ai suoi figli augura nel
maestoso rito delle funebri sue cerimonie ». [1]
H. Balzac Phisiologia du mariage [2] Burke- Speech [3]
San Marco Vangelo X, 36. [4]
Ruckert- Weisheit des Brahmanen [5]
Salmo, 135. [6] Pomfret – Cruelty and Lust. l-camillo.com |