Il PerdonoGesù
dice: «Orate pro persequentibus vos», non dice: pregate perché la
persecuzione non venga. Suppone la persecuzione già in atto, inevitabile
e presente. Pregate per coloro che vi perseguitano. E’ il precetto oltre
il quale non è possibile ulteriore perfezione. Facendo così, dice il
Signore, siamo figli del Padre che è nei cieli. Gesù per primo ne dette
l’esempio sul duro legno della croce nel momento stesso in cui, fra
atroci spasimi subiva il calvario. «Pater, ignosce illis, nesciunt quid faciunt» è il
grido supplichevole del Figlio sospeso fra cielo e terra, confitto
nell’infame patibolo, innalzato dall’odio della plebe, irriconoscente
del bene ricevuto. Padre
perdonali perché non sanno quel che fanno. Il
primo martire Santo Stefano si regolò in modo perfettamente eguale. Dal
dolore e dal perdono di Gesù ha avuto origine la nostra redenzione,
mentre dalla lapidazione e dalla preghiera di Stefano è sfavillata la
luce eterna dei cieli che ha suscitato la fede di San Paolo. II santi, i martiri, i veri cristiani, han seguito sempre,
anche sotto i colpi del carnefice, gli esempi di colui cha fa scendere e
piovere Ia luce del sole e la pioggia sui campi dei buoni e dei cattivi.
Solo i reprobi si lasciano intossicare dall’odio, dalle ripugnanze,
dalle ansie di viltà e di vendetta. Siamo nella valle di lagrime di un povero mondo
terrestre, e non in quello celeste. Al tempo del pontificato di Innocenzo X, il potente
cardinale Panciroli, e la potentissima Donna Olimpia Maidaichini, per
motivi personali che sfuggono alla nostra indagine, si scagliarono contro
San Giuseppe Calasanzio che era la santità in persona. Tutto cospirò a creare intorno a lui la diffidenza
dell’Autorità Suprema. Già sotto Urbano VIII, che l’aveva nominato a vita, fu
deposto dal Generalato, e trasferitane l’autorità nel meno degno dei
suoi religiosi, P. Mario Sozzi. Già per falsa denuncia di costui presto
però riconosciuta per tale, era stato, sia pure per poche ore, condotto,
pubblicamente e trattenuto come prigioniero al Sant’Ufficio. Così il
santo vecchio di 86 anni, digiunò dal giorno avanti, sul mezzogiorno,
sotto il solleone, per le vie più popolate di Roina, a piedi fra gli
sbirri, fu condotto a quel tribunale. La falsa e calunniosa imputazione
fu d’aver sottratte dalla stanza di quello sciagurato alcune carte
spettanti al Sant’Ufficio. Invece le carte erano state prese,
perché occorrenti al disbrigo di certe pratiche in corso, dal cardinale
Cesarini, Protettore delle Scuole Pie. Questi informato dell’accaduto e
della cattura del Calasanzio, mandò i suo Adiutore a giustificarlo, lo
fece liberare e ricondurre a casa la sera stessa, quasi in trionfo, nella
più bella delle sue carrozze. Il Santo ebbe a dire ad alcuni suoi intimi che durante il
suo penoso martirio s’era consolato pensando a Gesù, il quale per un
tradimento d’uno dei suoi, era pure stato catturato e fatto prigioniero. I trionfi dei santi, durante la loro vita terrena, non
possono essere che passeggeri. La loro razione quotidiana è il dolore, e
la loro bevanda il pianto, sicché ognuno di loro può dire col salmista:
«potum meum cum fletu miscebam». Anche
San Francesco d’Assisi ebbe a soffrire delle amarezze non indifferenti
da parte di chi avrebbe dovuto sentire il dovere dell’obbedienza, del
rispetto e della venerazione. Dopo
brevi giorni nell’eremo della Verna, se ne andò alla Porziuncola. E
furono giorni tristi quelli che vi passò: più tristi per dolori morali
che per le sofferenze fisiche, le quali pure non erano lievi. Frate
Elia e con lui alcuni ministri provinciali, minavano sordamente l’opera
del serafico Santo, e tentavano un’evoluzione verso ambizioni rimaste
fino allora sconosciute nell’ordine, e specie verso un attenuamento a
quella condizione di assoluta povertà imposta dalla Regola. Di
qui ebbero origine divisioni. scissioni e governi speciali. San Francesco si dolse amaramente di questo travisare la
sua idea ed ebbe giuste parole di amaro rimprovero. Negli ultimi giorni di sua vita posò la destra sulla
testa di un frate genuflesso accanto al suo lettuccio. «Su chi poso la
mia destra » domandò perché non vedeva quasi nulla. «Sulla testa di
Elia» risposero. «Bene, Soggiunse: figlio mio, ti benedico in tutto e
per tutto: ti benedico per quanto posso e più che posso, Colui che può
supplisca a quanto non posso io...». l-camillo.com |