Lasciò
al seminario un legato per la fondazione di una borsa di studio in favore
di studenti poveri chiamati allo stato ecclesiastico. Il
seminario tridentino si poteva allora definire: Chiesa e casa. Più che
residenza esso era nido famigliare. Le abitazioni individuali sembravano
celle, avevano le pareti bianche, aria e luce e semplicità nei mobili
austeri. Nella
sua stanza il collegiale si raccoglieva in se stesso e si dava al lavoro
in silenzio. ivi la vita diventava, preghiera diaria. Fra i suoi muri il
tempo scorreva calmo e tranquillo. All’alba di ogni giorno si ascoltava
la Messa, con la recita di preghiere in comune; la sera al suono dell’«
Angelus », si diceva il Rosario, e dopo i pasti, il collegiale, cercava
in ginocchio la sua via. All’inizio dell’anno scolastico aveva luogo
un breve corso di esercizi spirituali. II collegio compiva anche la sua
missione di aiuto allo studente bisognoso che sentiva la vocazione
ecclesiastica, Esso godeva la «piazza» o «mezza piazza» che gli dava
diritto, in tutto o in parte, all’alloggio, al vitto e all’esonero
dalle tasse. Gli
studenti nel seminario indossavano l’abito civile, con blusa oscura,
stretta alla vita da una cmtura. Quando uscivano fuori, sia per
l’assistenza pontificale, per processioni, passeggio, ecc. indossavano
la veste talare con polsini rossi, un soprabito senza maniche con piccola
mantelletta a volute e il tricorno con fiocco serico. In
questo provvidenziale istituto, casa di preghiera, di studio, di
educazione, appartenente un tempo ai gesuiti, venivano accettati giovani
studenti elementari e ginnasiali di ogni età, di diverse tendenze e di
diverse condizioni. Superato l’esame di licenza ginnasiale ognuno aveva
la sua via: liceo o filosofia. Molti
professionisti, già laureati in diversi rami, ricordano anche oggi, con
imperituro affetto e con viva riconoscenza, la vita serena e tranquilla
passata tra quelle vetuste mura sature di sapienza e di timor di Dio. I vecchi condiscepoli di qualsiasi grado e condizione,
fraternizzano oggi con lo stesso amore di ieri e sono più che contenti
quando l’uno può essere di conforto e di aiuto per l’altro. Nel beneficare la gente badava alle persone ed al luogo
perché: « non ciò che offriamo, ma il modo in cui lo offriamo,
determina il valore del dono. Soltanto il vero amore del prossimo
nobilita la beneficenza».[1] Mons.Bacciu, tutti i sabati, per tutta la vita, dava
nell’episcopio, verso le 11 del mattino, l’elemosina ai poveri di
tutta la città e non dimenticava, ogni giorno, neppure quelli che
numerosi affluivano dagli altri paesi.
.. «All’Istituto delle Suore Filippine erogò dal suo una
somma non inferiore alle 10.000 lire. Fu pure generoso verso tutti gli
Istituti di beneficenza esistenti in questa città (Ozieri). Provvedeva
la cattedrale della «Via Crucis» in tela del Prof. Morgari, di ricca
tappezzeria in damasco alle colonne, facendo anche dorare a sue spese i
fregi di stucco esistenti nella navata di mezzo, spendendovi notabili
somme. Ora pochi anni l’arricchiva di un bel parato in lama d’oro, di
un artistico leggio, di due candelabri, di un tronetto di metallo dorato.
E’ stato generoso e prodigo verso il suo Seminario Tridentino, per il
quale spese somme non indifferenti. Non lasciò mai mancare al popolo il
pascolo della divina parola, fu esatto nel disimpegno delle funzioni
inerenti al suo ufficio, scrisse e mandò un centinaio di lettere
pastorali e circolari ».[2] «Zelantissimo
nel culto divino istituì e promosse nuove devozioni atte a rassodare la
pietà. Attaccatissimo alla Sede Romana e al Vicario di Cristo, continuò
a curare sempre in modo speciale l’opera dell’obolo di San Pietro,
della quale bene intendeva e cercava di far intendere agli altri Ia grande
importanza religiosa e sociale, essendo appunto l’obolo che dà ai Papi
il mezzo di provvedere ai bisogni sempre crescenti della Sede Apostolica
».[3] Durante
le ferie, a Buddusò, offriva ogni anno, il pranzo a tutti i poveri del
paese e spesso li aiutava col suo obolo generoso. Il
Giovedì Santo di ogni anno, ai dodici poveri scelti per la lavanda dei
piedi, offriva, in episcopio, un lussuoso pranzo festosamente imbandito. A
ciascuno degli invitati, con cordiale generosità, donava la posata con
tovagliolo e piatto. Ai sacerdoti che vivevano in strettezze finanziarie,
procurava spesso anche degli indumenti e agli altri più abbienti
raccomandava la parsimonia ed il «quod superest» del Vangelo. Prima
di iniziare la santa visita, Mons. Bacciu, era solito indirizzare ai
singoli parroci della diocesi una lettera circolare nella quale caldamente
li esortava perché, durante la sua permanenza in mezzo a loro, il vitto
fosse semplice, frugale e non eccedesse dall’ordinario. Un parroco, trascurando la disposizione vescovile,
credette rendere ancor maggior omaggio al suo amato superiore col far
allestire un pranzo lussuosissimo. Alla mensa. come al solito, si discorreva animatamente,
con molta famigliarità e si mangiava con appetito. A metà pasto, il Vescovo, si alzò in piedi e dopo di
aver recitate sommessamente le preghiere di ringraziamento con bel garbo
guardò i commensali, poi senza ombra d’inquietudine disse:«buon
proseguimento» e sii ritirò in camera. Per il parroco quell’atto fu una doccia di acqua fresca
e gli servì di lezione per le visite successive. Se
pure, qualche volta, i tronchi nodosi stendevano i ramoscelli delle loro
foglie a formare, in diocesi, come un pallido velo diafano, apparivano gli
strappi da cui appariva il sole e piovevano le grazie carezzate dal
profumo dei fiori della carità cristiana. Il piacere dei grandi - dice un filosofo e matematico
francese - «è di poter fare la gente felice»[4]
e il Dossi nelle sue Note Azzurre afferma che «il miglior sistema
filosofico di tutti è quello di Gesù: il sistema della benevolenza ». La carità - dice San Francesco di Sales - è come il sole
in tutta l’anima per abbellirla dei suoi raggi, in tutte le facoltà per
renderle perfette, in tutte le potenze per moderarle, ma nella volontà,
come in un seggio, per risiedervi e farle accarezzare e amate Dio sopra
tutte le cose» Queste belle parole del gran maestro di spirito nella
direzione delle anime si veggono pienamente avverate nel nostro Vescovo,
il quale con le altre virtù predilesse la carità e l’amore di Dio, che
portò nell’apostolato per la salute delle anime. [1] FR. V Weech [2]
Mons. Luca Canepa- In Memoria [3]
Corriere d’Italia – Il lutto di Ozieri [4]
Pascal-Pensées, 310 Mons. Bacciu durante il suo governo, non solo aiutò con
cura paterna e protesse con sviscerata generosità le vocazioni
ecclesiastiche, ma formò alla scuola di carità molti sacerdoti i quali
sempre nutrivano per lui profonda riconoscenza, portandone il più grato
ricordo sino alla morte. Nel
ricordo della prima Messa, celebrata dal Sac. Baimondo Piccoi, in Buddusò,
il 25-9-1905, leggesi: «Imploro per l’insigne mio benefattore Mons. F.
Bacciu, Vescovo di Ozieri, - che paternamente guidommi al sacerdozio -
grazie speciali». l-camillo.com |