Bagliori di fedeLa
pietà della sua vita e del suo zelo, rifulse nell’organizzare anche
pellegrinaggi da lui promossi e presieduti. In
un discorso tenuto nella città eterna, nella Basilica dei Santi Apostoli,
rivolto ai pellegrini diocesani che gli facevano corona nella cappella del
Sacramento, leggesi: «Siamo a Roma, la città eterna, città sovra ogni
altra gloriosa, la città Santa: santa abitata e visitata da migliaia di
confessori illustri, di vergini illibate, di penitenti austeri, santa
perché consacrata da migliaia di martiri, che in essa versarono il loro
sangue a difesa della fede, santa infine è Roma perché santificata dalla
presenza permanente del Vicario di Gesù Cristo.... «Visitiamo i luoghi santi con viva fede, con vero spirito
di pietà e devozione, uniti di mente e di cuore in questo santo
pellegrinaggio.» «Portandoci
da una chiesa all’altra, rifulga in noi l’impronta della modestia e
devozione che tanto si addice ai veri credenti. Meditiamo il viaggio che
fece N.S.G.Cristo in questo mondo, meditiamo i sudori che spansero i santi
per la propagazione della fede; meditiamo in modo speciale le catene, le
prigionie, i tormenti di croce che patì in questa città il Principe
degli Apostoli, cementando col suo sangue l‘edificio meraviglioso,
incrollabile della chiesa. «Si,
o miei can fratelli, gli esempi di migliaia i santi che versarono il
proprio sangue in questa città in difesa della fede, le ceneri loro che
veneriamo nelle varie Chiese e Catacombe, siano la nobile fiamma che
accenda nei nostri cuori un fuoco vivo di amore divino. Non dimentichiamo
che siamo nella città santa. Sante quindi siano le nostre opere, sante le
parole, santi i pensieri, i desideri, i propositi. «Prostrati
su queste tombe gloriose preghiamo per tutti. Il Giubileo, che moltiplica
le grazie e le divine misericordie sui buoni, sia di vantaggio anche ai
peccatori. Si, preghiamo per la conversione dei medesimi, che il sommo
Iddio ne illumini le menti, ne irradi la tenebre dell’errore, che i
traviati ritornino a Lui e lo riconoscano padre amoroso. «Preghiamo
per il trionfo della Chiesa, per l’esaltazione della fede, per la vera
pace delle nazioni, per la pace e la prosperità specialmente della nostra
cara patria, preghiamo per la Sardegna, pei nostri cari, pei paesi nostri
». Termina
il suo discorso augurando al «venerando vegliardo del vaticano, il papa
miracolo, Leone XIII il trionfo della Chiesa, di quella Chiesa che egli
guida e governa con tanta sapienza, sorregge con tanto coraggio, edifica
con tanti esempi ». E
questo augurio lo faceva anche a nome dei suoi diocesani «non secondi ad
altri nell’attaccamento ed affetto alla Sua Augusta Persona» Durante
la S.Messa tutti partecipatorio al convitto eucaristico. In ognuno la
rinascita prendeva forma concreta, come un fanciullo che, irradiato dal
battesimo, fissa cosciente, il limpido sguardo in alto e scandisce la sua
prima preghiera. Così spiritualmente preparati ed infervorati, salirono
al Palazzo Apostolico ove furono ammessi a speciale udienza. L’incontro
con il Padre Comune delle anime fu fra i più commoventi: tutti e singoli
essi poterono baciare la mano e ascoltare la sua augusta parola di
salutane incitamento e di altissimo augurio. Questo auspicato ed
incancellabile colloquio si concluse con le acclamazioni più sentite. Ogni anno, nel bel mese di maggio, accampava alla
distrutta città di Bisarcio, antica sede della diocesi di Ozieri, un
foltissimo numero di pellegrini, per assistere nella chiesa monumentale di
Sant’Antioco, alla solenne Messa Pontificale celebrata con
l’assistenza dei Rev.mi Canonici del Capitolo dei Reverendi Beneficiati
della Cattedrale. Raccomandò
caldamente ai parroci e cooperatori di divulgare la recita quotidiana del
Santo Rosario in tutte le famiglie. Ricordò ad esse che «nelle case ove
ogni giorno risuona il mormorio del Rosario, ivi non si udirà il
frastuono straziante ed orribile delle imprecazioni, maledizioni,
bestemmie e della discordia: in quelle case discenderanno copiose le
benedizioni del Cielo nell’ordine spirituale e temporale»[1] Con
viva preghiera, commise alla cura dei parroci la propagazione del
Terz’Ordine Francescano in ottemperanza all’Enciclica «Auspicatu»
del 2 settembre 1882 - di Leone XIII e volle che il suo nome fosse
inserito per primo nell’elenco dei volenterosi aderenti. L’amore
al Serafico di Assisi lo cinse del cordoglio francescano e gli diede il
mordente serafico dell’apostolato. Anima
veramente francescana, fu un vero modello di carità, di preghiera e di
serafica dolcezza, entusiasta della bellezza del creato in cui vedeva,
l’impronta divina, vide, come S.Francesco, inneggiava all’«Onnipotente
bon Signore, cum tutte le creature». Un
giorno di sabato Gesù entra nella Sinagoga, sale sull’ambone, apre il
libro del profeta Isaia e legge queste parole: «Lo Spirito del Signore è
sopra di me: mi ha consacrato per annunziare ai poveri la buona novella;
mi ha mandato a sanare i contrasti di cuore, a promulgare ai prigionieri
la loro liberazione e la vista ai ciechi; a rimandare liberi gli
oppressi, ad annunziare il tempo di grazia del Signore». Poi chiuse il
libro e rivolto agli ebrei che tengono fissi in lui gli sguardi, esclama:
« Oggi si e compiuta questa parola della scrittura davanti a voi».[1] Effettivamente
anche la missione di Mons. Baccin sulla sua diocesi, fu missione di bontà
e di luce. Anch’egli passava in mezzo ai suoi diocesani spargendo con
generosità le sue beneficenze, comunicando le sue virtù, recando agli
smarriti ed ammalati la vita spirituale che è amore e beatitudine.
Anch’egli per opera dello Spirito del Signore portò a compimento molte
delle sue attività evangeliche. l-camillo.com |