Filippo Bacciu - Vescovo di Ozieri

  

Il respiro intanto Si faceva sempre più affannoso e una sete atroce - la sete della morte - lo tormentava: assaporava stilla a stilla l’agonia.

Seguì, mentr’era ancora nella più perfetta lucidità di mente e di giudizio, l’Estrema Unzione.

Per procurargli di qualche giorno la vita, gli furono praticati, secondo i metodi del tempo, alcuni salassi, ai quali il Vescovo si sottomise, benché la cosa gli ripugnasse. Tutto venne accolto da lui con rassegnazione e pazienza.

Durante giorni della malattia mai uscì dal suo labbro una parola di lamento o di sconforto. In perfetta conformità ai divini voleri, guardò in faccia la morte con occhio sereno.

Come un padre sul letto delle sue agonie ama circondarsi dei suoi figli per rivolger loro l’ultima parola e per dare ad essi l’estrema benedizione, così il maestro e l’educatore acconsentì, ben volentieri, a ricevere i sacerdoti che gli erano discepoli e figli spirituali.

Parlare non poteva, ma il cuore si spalancava ancora per accoglierli tutti dentro, e quella serenità che gli si leggeva negli occhi spenti, era la sua ultima predica.

Era sulla soglia dell’eternità. Ripeté più volte «Gesù mio misericordia », volle baciare ancora il crocefisso e dopo di aver implorata la grazia della perseveranza finale, mandò un sospiro e la sua anima spiccò il volo verso il trono di Dio, mentre il sole mandava l’estremo saluto nel crepuscolo d’oro.

Nella camera alto regnava il silenzio: gli astanti versavano lacrime di cordoglio, era un pianto tacito, benefico: quel pianto invece di soffocare libera, invece di acuire la pena la stempera e la placa.

Un bel morire tutta la vita onora.[1]

L’operaio evangelico doveva cogliere il frutto delle fatiche, sostenute nella vigna del Signore.

Le prime ore della sera calavano sopra Ozieri. Più nessuna luce nel cielo, che acquistava quella tinta grigia piena di malinconia, e che stendendosi sulla città, sulla cerchia dei monti, toglieva a tutto ogni rilievo, e in una bruna uniformità di aspetto fondeva tutte le sfumature del paesaggio..

La morte del buon Vescovo, caduto sulla breccia con le armi in pugno come una sentinella vigile, fin dalle prime ore del mattino, prese un carattere di un avvenimento pubblico. S’erano chiuse le botteghe, sospeso il commercio e tutti si erano portati all’episcopio che fu invaso in un istante e al di fuori la folla manifestava clamorosamente la sua impazienza di entrarvi. Tutta la popolazione poté soddisfare la sua devozione ed apportare il suo tributo di pietà alla memoria dell’estinto.

Il ferale annunzio, diffusosi con la velocità della folgore anche per tutta la Diocesi, era stato portato da tanti beneficati e suscitò dovunque un rimpianto generale e profondo. Fu un accorrere continuo di gente di ogni ceto che manifestavano coi segni del dolore più vivo, quelli della venerazione. Affluivano poveri, ricchi, semplici popolani, distinte persone, sacerdoti, fanciulli, a fine di rimirar per l’ultima volta la salma, rivestita degli abiti pontificali, esposta nella camera ardente, parata a lutto e adorna di luci.

Il popolo si prostrava ai piedi del catafalco, e implorava la protezione di colui del quale si spesso ne aveva sperimentata la bontà ed ammirata la virtù, poi nei trasporti di dolore e di fede, gli baciavano le mani, i piedi, l’abito, il crocefisso che teneva fra le mani, sul petto.

La sua fisionomia aveva un non so che di amabile soavità.

……… A generosi

Giusta di gloria dispensiera è morte.[2]



[1] Petrarca – Canzoniere, 1, 20.

[2] Foscolo – Sepolcri, 220

                                                
   
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